Mingher: le notti della peste

Mingher è un’isola che non c’è. È inutile cercarla là dove la colloca Pamuk, più o meno tra Rodi e Creta.

Mappa immaginaria di Mingher

Mappa dell’isola di Mingher

A Mingher fioriscono le rose, il cui profumo intenso si mescola con quello del caprifoglio e del tiglio.
Mingher è un paradiso in cui, nell’anno 1901, si scatena l’inferno: la peste.

romanzo di Pamuk

Le notti della peste

Pamuk immagina che una scrittrice legata a quest’isola (e solo alla fine si scoprirà come) componga quest’opera, la cui natura  è così definita nella prefazione: «Questo è sia un romanzo storico, sia una storia in forma di romanzo. Nel racconto di ciò che avvenne durante i sei mesi più movimentati e cruciali della vita dell’isola di Mingher, perla del Mediterraneo orientale, ho incluso molti episodi della storia di questo Paese che amo così tanto».
Nel racconto si intrecciano i destini di un impero, di un’isola, di un periodo storico e di personaggi, in parte inventati, in parte storicamente accertati.
L’impero è quello ottomano la cui decadenza e disgregazione, raccontate anche nell’effettivo svolgimento storico, si rispecchiano metaforicamente nella distruzione che la peste semina tra la popolazione di Mingher.
I personaggi, soprattutto quelli inventati,  hanno una piena verità umana.
C’è la principessa Pakize che, giunta a Mingher con il marito, il medico Nuri, avrà un ruolo importante nel destino dell’isola; dalle lettere da lei scritte alla sorella Hatice l’autrice (inventata) del romanzo trae le principali notizie sugli avvenimenti di Mingher. «In realtà tutto è cominciato con una serie di lettere alle quali ho avuto accesso e di cui ho cercato di restituire l’inestimabile ricchezza. Tempo fa, infatti, mi era stato chiesto di annotare e preparare per la pubblicazione le centotredici lettere che la principessa Pakize, terza figlia del trentatreesimo sultano ottomano Murad V, scrisse alla sorella maggiore Hatice Sultan tra il 1901 e il 1913». La principessa Pakize è sospesa tra la modernità che avanza e la alletta da una parte , e  una trasognata appartenenza al mondo ottomano dall’altra; un misto tra orgoglio e dolcezza. Suo marito, il dottor Nuri, esperto di epidemie, si prodiga per la salvezza degli abitanti di Mingher, spesso ostacolato da ignoranza , superstizione, diffidenza.
Il governatore Sami Pascià è un personaggio complesso, malinconico e al tempo stesso calcolatore, un buon politico ma sfortunato.
C’è l’eroe nazionale, il maggiore, che sposa Zeynep e subito i due diventano personaggi fiabeschi, la cui storia verrà raccontata per anni ai bambini di Mingher.
Da Istanbul la maestosa figura del sultano Abdul Hamid proietta la sua ombra sull’isola di Mingher, minaccioso ma impotente nel disfacimento che pervade il suo impero.
Le potenze occidentali aspettano come avvoltoi di prendersi i pezzi di questo grande impero: le navi straniere che circondano Mingher in un cordone sanitario esprimono in modo tangibile questa attesa.
I personaggi sono tanti, tutti molto vividi, tracciati realisticamente.
E poi c’è la peste che dilaga nonostante gli sforzi di contenimento, e tutto travolge, accelerando le tensioni sociali in una società multiculturale che fino ad allora aveva cercato una convivenza tra musulmani e cristiani ortodossi. La peste scatena la corsa verso il caos del ‘si salvi chi può’ dei più forti e ribaldi, mentre i più deboli si lasciano travolgere dal senso di rassegnazione e dal fatalismo.
«… regnava un’atmosfera di anarchia, abbandono e fallimento delle autorità, e quest’impressione di incertezza cresceva e si diffondeva velocemente».
In queste storie, a volte crudeli e disperanti, emerge il senso di solitudine di coloro che, sopravvissuti, hanno perso tutto, le persone care, gli averi, la casa, la voglia di vivere.
Impressionante è il silenzio di morte che avvolge l’isola e spegne ogni speranza.
Fino alla fine ci si chiede se mai tutto questo avrà una conclusione e Mingher ritroverà la pace e quell’atmosfera di paradiso che le sue bellezze naturali creavano.
Il romanzo è un insieme di allegorie che si specchiano l’una nell’altra per arrivare a significare anche il nostro oggi, così vicino al caos e all’autodistruzione.

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