Klimt
Nel segno di Hoffmann e della Secessione
Museo Correr Venezia
24.03 – 8.07.2012
L’oro di Venezia e l’oro di Klimt. Nessuna città al mondo ha più titoli per celebrare il 150° anniversario della nascita di Gustav Klimt. Città, del resto, da lui tanto amata, assieme a Ravenna, dove i mosaici scintillanti di San Vitale lo hanno ammaliato per sempre. Ma anche Venezia ha amato – ed ama, forse, ancora – questo mago della decorazione. E non si parla di un modesto artigiano che abbellisce il mondo attorno a sè, ma di un artista che ha dato spessore filosofico all’arte di decorare: di fronte ai suoi quadri si prova l’infinita nostalgia di un altrove desiderato per la sua perfezione, ma irragiungibile e irrimediabilmente perduto senza essere stato mai conquistato. Tutto qui – e non è poco – il fascino di Klimt: vede il tramonto di un mondo (quello dell’impero austroungarico) e «associa l’idea dell’arte, e del bello, a quello della decadenza, del dissolvimento del tutto, del precario sopravvivere della forma alla fine della sostanza». «…Klimt tocca quasi senza volerlo il punto nevralgico di una situazione ben più vasta, europea: l’arte è il prodotto di una civiltà ormai estinta, nella nuova civiltà industriale non può sopravvivere che come ombra o ricordo di se stessa».
La mostra documenta questo momento storico, ricco di malinconie ma anche di nuovi fermenti, e ci racconta come gli artisti della Secessione viennese hanno cercato di preservare le ragioni dell’arte in un mondo ormai pervaso da avidità affaristiche.
Certamente non si possono far confronti, non hanno senso storicamente, ma la malinconia che ho provato di fronte a “queste forme che sopravvivono alla sostanza ormai dissolta”, è esattamente la stessa che mi provoca il pensiero del mio mondo, oggi, qui, travolto dalla volgarità.
Le citazioni sono tratte da:
Giulio Carlo Argan, L’arte moderna, Sansoni per la Scuola, 1988
p.200