Pesce Venezia

Pesce Venezia Venezia pesce,  e come pesce naviga: su quali rotte?

Venezia naviga come un pesce

Venezia è un pesce

La bellissima (e nuovissima) guida di Tiziano Scarpa ci fa camminare toccare fiutare gustare udire vedere questo pesce Venezia ancorato in mezzo alla laguna. Da dove viene?
«Venezia è un pesce. Guardala su una cartina geografica. Assomiglia a una sogliola colossale distesa sul fondo, o a un’orata che guizza su un’onda. Come mai questo animale prodigioso ha risalito l’Adriatico ed è venuto a rintanarsi proprio qui? […] È dalla notte dei tempi che naviga; ha toccato tutti i porti […]; sulle squame le sono rimaste attaccate madreperle mediorientali, sabbia fenicia trasparente, molluschi greci, alghe bizantine. Un giorno però ha sentito tutto il gravame di queste scaglie […] . Le sue pinne sono diventate troppo pesanti per sgusciare tra le correnti. Ha deciso di risalire una volta per tutte in una delle insenature più a nord del Mediterraneo, la più tranquilla, la più riparata, e di riposare qui.»
Con questa immagine si apre il viaggio nella città lagunare e nei ricordi dell’autore.
Il primo suggerimento è quello di affidarsi al caso e ai PIEDI, camminare senza meta, sentire sotto i piedi i ‘maségni’ , quei macigni grigi di trachite che lastricano le strade: «L’unico itinerario che ti suggerisco ha un nome. Si intitola: A caso. Sottotitolo: Senza meta.» Con l’avvertimento di badare a non esser preda di ladruncoli e del sistema abusivo dei traghetti, ma sapendo che il pesce Venezia mangia soldi.

Poi occorrono le GAMBE per salire e scendere i ponti, che sono tanti e che uniscono le varie parti della città. E intanto, mentre percorri un campiello, sentire che si sta camminando sopra il bene più prezioso al mondo, l’acqua. Sentire la pendenza che fa scorrere l’acqua nei tombini. E sulle imbarcazioni bisogna imparare a stare in equilibrio: «Questo capitolo, dunque, oltre che alle gambe, è dedicato al labirinto: o meglio, alla coppia di labirinti corporei, le due chiocciole in fondo alle orecchie che ti danno il senso dell’equilibrio.»
Venezia è laguna, come ha scritto Roberto Ferrucci; Venezia si salva se si mantiene il delicato equilibrio della laguna. L’autore propone un tragitto in barca fino a Torcello che è un viaggio storico più che geografico, temporale più che spaziale.
Venezia è acqua alta: tanto è stato scritto su questo, ma è in questa narrazione, senza sbavature sentimentali, che si sente la partecipazione di chi Venezia la vive e la ‘soffre’.

Venezia è la città dell’amore, del CUORE. Con delicata ironia l’autore consiglia le coppiette. E di coppiette racconta divertenti aneddoti. E storie scolpite sulle colonne del Palazzo ducale.

Il Pesce Venezia si può, si deve toccare: «Ti viene spontaneo toccarla. La sfiori, l’accarezzi, le dai buffetti, la pizzichi, la tasti. Metti le mani addosso a Venezia.» Le MANI sono in continuo movimento.
Ci si appoggia sui parapetti dei ponti, allargando le braccia si toccano le due pareti di una calle, e non serve neanche allargarle tanto. Si toccano i muri umidi e il soffitto dei sottoportici. Sul vaporetto, sulle gondole si afferrano sostegni. Il remo è una mano che tocca la forcola, anzi l’accarezza. L’autore ci descrive il fascino del vogare, ci racconta i movimenti del gondoliere, la Vogalonga, le sue esperienze di giovane modesto vogatore.

Il VOLTO del Pesce Venezia è una maschera: «Vólto in veneziano significa “maschera”, come persona in latino». Venezia è Carnevale, è spettacolo, è densità di facce diverse di diverse etnie: un capitello di Palazzo Ducale le riproduce, il Latino, il Tartaro, il Turco, l’Ungaro, il Greco, l’Egizio, il Persiano.

Le ORECCHIE devono abituarsi al silenzio e al rumore, perché a Venezia è un’altalena continua di suoni frastornanti e di pause silenti. Urla di gondolieri, sirene, miagolii di notte, passi che risuonano, versi di uccelli come il chiù, decollo di piccioni, tuffi di pantegane, traffico nei canali, campane, intreccio di lingue diverse… e poi il silenzio di certe calli lontane dai circuiti, di certi campielli nascosti, soprattutto delle notti. Nel silenzio si può ascoltare il picchiettio della pioggia sullo specchio dei canali, nel silenzio si odono le goccioline sospese della nebbia. «Ci sono città che hanno un’escursione termica molto forte: caldissimo di giorno, freddissimo di notte. A Venezia c’è una notevole escursione acustica: di giorno migliaia di persone, di notte il deserto.»

Che sapore ha il Pesce Venezia? La BOCCA può sentire il vero sapore della città nei suoi bàcari, nelle sue osterie. Ma deve anche saper «masticare un po’ del suo dialetto». I mangiarini del bàcaro devono essere guadagnati. Lo scrittore ci regala la spiegazione di tutta una serie di parole che vanno pronunciate prima di gustare: spritz, fritolin, schie, bìgoli in salsa, sarde in saór, figà alla venessiana, moéche

E il NASO? L’autore, che è veneziano, sente ancora gli odori della sua infanzia che non sono poi cambiati molto da allora: il tanfo di certi ‘marciumi limacciosi’, di certi scarichi di lavandini e di qualcosa di peggio; gli viene in mente, a questo proposito, la statua di Niccolò Tommaseo detta il Cagalibri. Puzze o profumi? Il mercato della frutta e della verdura, e, nel Pesce Venezia non può mancare, il mercato del pesce.

Ma è dagli OCCHI che viene l’insidia più pericolosa per chi non voglia essere stregato da Venezia. In questo capitolo dedicato alla vista si scatena la brillante ironia dell’autore, che vede negli eterni ponteggi e impalcature per il restauro, nonché negli orridi edifici novecenteschi di certe zone un riparo, un sollievo contro lo splendore di Venezia che ha la potenza di un’esplosione nucleare. «Venezia può essere letale. In centro storico la radioattività estetica è altissima. Ogni scorcio irradia bellezza; apparentemente dimessa; profondamente subdola, inesorabile.» Radium pulchritudinis, radioattività estetica, pulchroattività.
Di questa bellezza sono attori importanti i riflessi: «Le luminescenze reticolari che l’acqua proietta riflettendo i raggi di sole sotto le arcate dei ponti sono lo scopo per cui è stata costruita Venezia.»
Insomma, gli occhi non hanno pace, ammaliati. Bisogna però stare all’erta, perché dall’alto piove di tutto, escrementi di piccioni, pezzi di intonaco, comignoli, perfino gatti, come il mitico gatto heideggeriano della Giudecca. L’aneddoto è gustosissimo: questo micio si accoccolava sul davanzale di una finestra con gli scuri chiusi al terzo piano, allora i ragazzini della zona chiamavano a gran voce l’inquilina che apriva d’improvviso gli scuri, facendo precipitare la povera bestiola. «Consideriamo ora l’esperienza di questo gatto heideggeriano che, proveniente da un placido sonnecchiare, spalancava gli occhi sulla caduta. Negli stessi anni, il filosofo Martin Heidegger spiegava che venire al mondo è come essere gettati, è una caduta dell’Essere che si tuffa nel Tempo. La vita è un gatto addormentato sul davanzale che si sveglia all’improvviso cadendo dal terzo piano.»

Non bastano occhi, naso, bocca, orecchie per goderti Venezia, si vorrebbe qualcosa di più: essere il Pesce Venezia per sentire sulla PELLE l’acqua della laguna, immergerti, tuffarti, anche se è proibito. E lo sanno certi turisti e certi buontemponi… Qui molti racconti divertenti ci fanno capire come sia forte l’attrazione dell’acqua. Si vorrebbe sentir Venezia sulla pelle, sentirla propria. Ma di chi è Venezia? Dei veneziani? Dei turisti? E che cosa è Venezia?

È impossibile render conto della ricchezza di spunti, di notizie, di sensazioni che ispira questo libro, arricchito alla fine da una sezione intitolata LIBRI dove si trovano nuovi stimoli.
Il linguaggio usato è raffinato e denso di cultura, creativo, ironico, le parole si gustano per il loro suono, per l’eco che destano, al di là del loro significato, che per altro è sempre preciso.

 

condividi!
  • Print
  • Facebook
  • Twitter
  • RSS
Questa voce è stata pubblicata in saggi e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.