Il grande Gatsby
Francis Scott Fitzgerald
Introduzione di Alessandro Piperno
Traduzione di Fernanda Pivano
La Biblioteca di Repubblica 2011
Gatsby, il grande Gatsby: quali furono i suoi errori? Il più grave: non rendersi conto che i sogni non possono essere trasportati da un’età ad un’altra.
Poi, errore non meno grave, rimanere così concentrato sul suo sentimento per Daisy da non vedere come la superficialità luccicante di lei, specchio splendente di un mondo frivolo, ricco, spensierato, egoista, non potesse sopportare il peso di una vera passione d’amore.
Tutta la vita di Gatsby è tesa a raggiungere l’irraggiungibile; per questo scopo è lecito ogni mezzo e il giovane povero di provincia che si chiamava Jimmy Gatz diventa il ricco self-made man Gatsby attraverso affari di ogni tipo e, come si racconta sottovoce ma non tanto, poco puliti.
Ma il mondo dei veri ricchi non sarà mai il suo mondo, bensì quello di Daisy, la ragazza per bene che un giorno l’ha incantato per sempre e che lui, abbagliato dal suo stesso sentimento, pensava di poter conquistare.
Il tragico epilogo ha l’aspetto di un’allegoria, quella del sogno americano che si infrange mostrando tutta la precarietà e l’effimera vanità di una vita costruita inseguendo il successo.
Eppure non si può fare a meno di essere dalla parte di Gatsby, non si prova simpatia per Tom, il marito di Daisy, o per lei stessa: «Erano gente sbadata, Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto…».
Siamo dalla parte di Gatsby, perché il narratore, Nick, pur con tutte le sue riserve, ci racconta di lui l’aspetto più commovente, quello di un ragazzo che è rimasto attaccato ad un sogno e che non si è lasciato schiacciare dal disprezzo dell’alta società. Un ragazzo abbagliato dalle luci di un mondo incantevole dove Daisy risplendeva «… lucente come l’argento, tranquilla e orgogliosa al di sopra delle lotte ribollenti dei poveri».
Nick, alla fine, interpreta il pensiero del lettore, quando urla a Gatsby « … Sono un branco di porci… Tu da solo vali più di tutti quanti messi assieme».
L’autore racchiude in sé un po’ di Nick e un po’ di Gatsby. La sua vita stessa è un romanzo: giovane “viziato” e affascinante, interpreta nei suoi scritti e nella sua stessa vita quella generazione americana che tra le due guerre ebbe modo di passare da alte aspirazioni ad aspre delusioni.
La sua malinconica filosofia è affidata alle parole finali del romanzo:«[Gatsby] Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in questa vasta oscurità dietro alla città, dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… e una bella mattina… Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».
Rileggo questo libro dopo molti anni e lo trovo più bello che mai. Anche il film mi è piaciuto molto. Parlo di quello del 1974. È molto fedele al testo che interpreta con finezza e sensibilità. Robert Redford è perfetto nel ruolo di Gatsby.
Non ho visto l’ultimo, quello del 2013.